Come il non profit ha insegnato al profit a giocare

Martedì 10 giugno siamo stati ospiti del Festival del Fundraising con un workshop dal titolo “Il profit che impara dal non profit? No, non è un gioco… anzi, sì!” Abbiamo parlato di come la gamification, l’uso di meccaniche ludiche in contesti non ludici, può fare la differenza. Perché giocare stimola la competizione sana, il senso di competenza, il riconoscimento e quindi può essere una leva potente anche per il non profit. Per raccontare meglio la mission, aumentare l’engagement, fidelizzare chi sostiene un’organizzazione, ma anche per attrarre nuovi contatti.
Livello 1: UNICEF
L’UNICEF, grazie a una collaborazione internazionale con l’orsetto Paddington, era riuscita ad acquisire moltissimi donatori regolari. Ma come evitare che si perdessero dopo il primo anno? Come continuare a parlare alle famiglie con bambini, mantenendo alta l’attenzione, anche quando non si poteva più usare Paddington?
La nostra risposta è arrivata sotto forma di gioco. Letteralmente.
Abbiamo creato un gioco da tavolo ispirato al meccanismo del gioco dell’oca, con un nuovo protagonista: Tatik, una sterna migratrice che prende il testimone di Paddington e diventa la voce narrante del progetto. Il tabellone del gioco accompagna i bambini (e i genitori) attraverso i 5 continenti, raccontando i progetti dell’UNICEF in modo leggero e autentico. Ogni casella attiva una missione, un quiz, un’azione da compiere. Un’esperienza che coinvolge i donatori in una narrazione continua, personalizzata, affettiva.
Livello 2: Lavazza
Ci siamo chiesti: e se il profit potesse imparare qualcosa da tutto questo? Così è nato il progetto con la Fondazione Lavazza, per raccontare il suo impatto ai dipendenti del Gruppo Lavazza e sensibilizzarli sulle minacce che il cambiamento climatico rappresenta per le coltivazioni di caffè.
Per farlo, abbiamo giocato. Ancora una volta. Con Coffree: un board game con tabellone, pedine, dado e clessidra. A ogni casella, una sfida da affrontare, una decisione da prendere, un quiz da superare. E in palio, ogni volta, un chicco di caffè da salvare. I chicchi salvati vanno al centro del tabellone: lì, una carta stabilisce se si moltiplicheranno, grazie alle attività della Fondazione, o se andranno persi per sempre.
Il gioco è stato il centro di una giornata di team building nella Nuvola di Torino, la sede di Lavazza: 4 sessioni da 2 ore e mezza, oltre 80 dipendenti coinvolti e uno strumento di onboarding per i nuovi assunti e una nuova risorsa didattica del Museo Lavazza.
Livello bonus: anche con poco si può giocare
Se pensi che questi progetti si possono realizzare solo con grandi budget, ti sbagli. Le dinamiche di gamification possono essere alla portata di tutti, anche delle piccole organizzazioni.
Bastano tre accorgimenti:
- Semplificare le meccaniche: non servono tabelloni, dadi e pedine. Un quiz online o una sfida via social possono già fare molto.
- Scegli supporti digitali: l’online abbatte i costi e permette di misurare l’efficacia in tempo reale.
- Pensa a diversi obiettivi ed esigenze: un gioco può servire alla fidelizzazione, ma anche alla sensibilizzazione, alla raccolta fondi o alla formazione dei volontari.
Il gioco, se ben costruito, non si esaurisce. Si rinnova. E nel non profit – e sempre più anche nel profit – può diventare una chiave per attivare le persone, farle sentire parte di una comunità, trasformarle da spettatori a protagonisti. Siete pronti a giocare anche voi?